Viaggio alla scoperta dell’arte e dell’archeologia
NEL GOLFO DI GAETA E NELLA PROVINCIA DI LATINA, CON IL MAESTRO CIRO CELLURALE
Gaeta, Formia, Minturno, Sessa Aurunca, Mondragone, Priverno e Fossanova
di Claudio Manari
Una lunga visita di più giorni, alla scoperta dei tesori del Lazio al confine con la Campania, ma anche in territorio campano attraverso località immerse nella natura e nella storia.
Il maestro Ciro Cellurale (nella foto a sinistra), come abitualmente ormai da anni, insieme all’autore dell’articolo, viaggia visitando le meravigliose e poco conosciute località italiane, per promuoverne lo sviluppo turistico e fare conoscere quale sia il patrimonio che l’Italia possiede in materia di storia, arte e archeologia.
Le tappe di questo viaggio cominciano dagli scavi di Minturno, facendo base nello splendido Hotel Il Postiglione, che oltre ad essere una struttura storica antica di 250 anni, completamente rinnovata, ha il pregio di trovarsi proprio sugli scavi archeologici e infatti offre una panoramica dall’alto della sua terrazza di incomparabile bellezza.
Agli scavi siamo accolti dal personale che professionalmente preparato e estremamente cortese ci accompagna nella visita del sito che è stato valorizzato negli anni dalla passione e caparbietà della Dott.ssa Giovanna Rita Bellini, direttrice degli scavi e autrice di numerosi saggi sull’argomento.
Il Comprensorio archeologico di Minturnae si trova nel comune di Minturno (LT) in prossimità della foce, sulla sponda destra, del fiume Garigliano. Il Comprensorio archeologico racchiude, oggi, emergenze archeologiche di grande pregio e ottimo stato di conservazione.
Il Teatro Romano, senza dubbio il monumento più appariscente, costruito nel I secolo d.C. è come tutti i teatri antichi, suddiviso nei tre settori caratteristici (scaena, orchestra, cavea). In antico, accoglieva oltre 4000 spettatori. D'estate, dal 1960, l'antica struttura ospita rappresentazioni teatrali e spettacoli musicali. Negli spazi sottostanti alla càvea è situato il Museo che accoglie statue acefale, sculture, ex voto, epigrafi, monete (ripescate nel vicino fiume) e numerosi reperti, rinvenuti nel secolo scorso a Minturnae, nel centro urbano di Scauri (l'antica Pirae) e nella zona di Castelforte.
Nell’area si conserva un tratto originale della via Appia (Decumanus Maximus), costruito in blocchi di lava basaltica.
Il percorso di visita si articola tra i resti del Foro Repubblicano (II secolo a.C.), del Capitolium (dedicato a Giove, Giunone e Minerva), del Foro Imperiale, del Macellum (mercato), delle Tabernae e del complesso termale (II secolo d.C.)
Nei pressi del comprensorio il moderno tracciato dell'Appia si interseca con le numerose ed imponenti arcate dell’Acquedotto Romano, un tempo lungo circa 11 chilometri, nonché è possibile ammirare il "Ponte pensile" sul Garigliano, con tiraggi a catene di ferro, il primo realizzato in Italia con tale tecnica. Tale ponte fu progettato dall'ingegnere Luigi Giura ed inaugurato nel 1832 dal re Ferdinando II delle Due Sicilie. Adiacente al comprensorio sorge anche il vasto Cimitero di guerra di Minturno e che accoglie 2049 caduti durante Seconda guerra mondiale dell'Impero Britannico.
A ridosso della foce si trovano, infine, le rovine di un antico luogo sacro, il Tempio della ninfa Marica, divinità delle acque.
La visita senz’altro emozionante e dispiace dover segnalare che l’area non è indicata sufficientemente e poco pubblicizzata. Un patrimonio importante che non dovrebbe essere sconosciuto ai più e che dovrebbe essere molto più valorizzato dalla locale amministrazione.
La visita prosegue con il Museo archeologico di Formia, dove siamo accolti da tre assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza che ci guidano nel percorso con cortesia dimostrando preparazione e competenza. La Signora Rosa Ciufo, la Signora Giuseppina Trimarchi e la Signora Anna Tucciarone, appassionate e orgogliose del Museo ci informano anche sullo stato di visita delle altre numerose emergenze archeologiche della cittadina e ci forniscono utili notizie sui luoghi dove andare.
Il Museo, di recente realizzazione (1997), costituisce l'ampliamento di un precedente Antiquarium istitutito nel 1968, dopo la distruzione, avvenuta durante la guerra, di una sede civica risalente agli anni Trenta. Riorganizzato e notevolmente arricchito, occupa un'ala del settecento palazzo municipale, nota come 'Stalloni dei Borboni'. La raccolta è composta in prevalenza da sculture, di elevato livello artistico, databili nella massima parte tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C., il periodo della maggiore fioritura della Città. Si tratta di statue virili e muliebri di carattere onorario, erette a membri illustri della società formiana - patroni, magistrati - ma anche a personaggi della famiglia imperiale (è riconoscibile un'immagine di Caio Cesare, nipote di Augusto) rinvenute soprattutto nell'area dell'antico foro cittadino. Tra le altre numerose sculture che, dopo il ritrovamento nel medesimo sito negli anni Venti, furono traferite al Museo archeologico di Napoli, sono tornate recentemente a Formia: tre statue virili in eroica nudità con testa ritratto, una statua sacrificante, due figure panneggiate femminili, una testa velata di giovinetto e un ritratto di donna anziana. Sono, inoltre, presenti raffigurazioni di divinità e soggetti mitologici (Ares, una pregevole Leda col cigno, Stagione, Gaminede, ecc.) destinati a decorare le lussuose ville marittime che sorsero numerose sul litorale. Sono esposti, inoltre, elementi architettonici e reperti riferibili alla sfera funeraria. Infine è presente una significativa campionatura delle principali monete romane, inquadrabili tra l'età repubblicana e il tardo impero .
Un museo imperdibile nel quale possiamo ammirare anche le recenti acquisizioni di alcuni busti marmorei ritrovati nelle ville romane del luogo che costituiscono una piccola mostra intitolata “ I volti svelati”.
Proseguiamo alla scoperta della Tomba di Cicerone, la cui attribuzione è molto discussa, benchè la vicinanza del sito all’area dove egli fece costruire una delle sue sontuose ville e le imponenti dimensioni della struttura, destinate ad accogliere le spoglie di un uomo illustre, sosterrebbero la tesi.
Inoltre fu proprio a Formia, sua città prediletta, che l’oratore trovò una tragica morte nel 43 a.C., assassinato per mano dei sicari di Antonio. La struttura sepolcrale si innalza per 24 metri e presenta una pianta centrale.
Oggi si conserva il rivestimento del basamento quadrato, in blocchi squadrati in calcare. Un’imponente colonna cilindrica ad anelli di pietra, all’interno della cella funeraria, sostiene la struttura, mentre nelle mura circostanti trovano spazio i colombari.
Sulla collina retrostante la Tomba di Cicerone, si possono ancora vedere i pochi ruderi del sepolcro dell’amata figlia Tulliola, morta di parto.
Nella cittadina visitiamo anche I criptoportici, basis villae di una residenza romana del I sec. a.C. che sorgono sotto la villa comunale di Formia.
Tali strutture sono visitabili grazie agli sforzi dell’Associazione “Arti e Mestieri, gli amici del Golfo“ ai quali va il nostro plauso per dare la possibilità al pubblico
Una immensa cisterna, la seconda del mondo romano si trova poco distante., purtroppo chiusa al pubblico gran parte del tempo, visitabile solo il pomeriggio nei fine settimana…
A Minturno visitiamo la cattedrale edificata per volontà di Papa Leone III intorno al IX secolo espandendo una precedente struttura, probabilmente del IV-V secolo. La chiesa sarebbe stata poi nuovamente riedificata nel XII ed ha subito rimaneggiamenti nel corso dei secoli XVI e XVIII.
La chiesa è stata cattedrale per la diocesi di Minturno, già unita alla sede di Formia nel VI secolo e poi nuovamente sede vescovile nel IX e X secolo per volere di Leone III. La sede di Minturno fu infine unita all'arcidiocesi di Gaeta. La pianta dell'edificio è a croce latina. La chiesa è caratterizzata da un nartece con arcate a sesto acuto disuguali. Sul protiro si innalza il campanile a tre piani di bifore romaniche. L'interno è a tre navate, arricchite da colonne provenienti da Minturnae. La navata centrale è coperta con soffitto ligneo a cassettoni, inaugurato il 17 agosto 1851 alla presenza del Re Ferdinando II. Di rilievo artistico sono anche una tela raffigurante "l'Ultima Cena" di Andrea Sabatini da Salerno, la Cappella del Sacramento del 1587 (rivestita di marmi policromi), il candelabro del cero pasquale (1264), il pergamo in stile cosmatesco (con elementi riferibili al XIII secolo), la statua della Madonna delle Grazie (1825), incoronata nel 2008 da Mons. Fabio Bernardo D'Onorio, Arcivescovo di Gaeta.[1]
Spostandoci in Campania ci rechiamo a Sessa Aurunca dove ci aspetta la visita del Teatro Romano, uno dei più imponenti che si siano conservati. Anche questo monumento versa in condizioni pietose, inaccessibile e chiuso lo possiamo ammirare dall’alto. Va detto che le strutture architettoniche sono ben conservate, ma lo stato di degrado è percebile ovunque. Scale divelte, travi di legno ormai marcite alle intemperie e erbacce e rifiuti ovunque. Si spera che questo articolo possa servire per sensibilizzare l’amministrazione locale a fare qualcosa prima che sia troppo tardi. Il teatro romano di Sessa Aurunca si trova in provincia di Caserta.
Costruito nel II secolo a.C., fu poi fatto ampliare e migliorare da Matidia minore, cognata dell'imperatore Adriano, quattro secoli dopo. In seguito fu abbandonato e progressivamente sepolto sotto il terreno, fino agli anni '20 del XX secolo, quando i lavori cominciarono sotto la guida dell'archeologo Amedeo Maiuri; interrotti per la seconda guerra mondiale, questi furono poi veramente ripresi solo nel 1999, per poi essere finiti nel 2003. Il teatro fu costruito su di una collina per sfruttarne la naturale inclinazione. La cavea ha 110 metri circa di diametro e poteva contenere tra i 6000 e i 7000 spettatori. L'edificio scenico aveva una lunghezza di 40 metri e un'altezza di 24, ed era composto di tre ordini soprapposti di 84 colonne. I marmi usati erano pregiati e venivano da varie parti dell'Impero, come la Numidia o Carrara. Dietro le scene si può ancora trovare la latrina degli attori, risalente al III secolo d.C.. Adiacente al teatro si trova un criptoportico risalente circa all'età sillana. Anche la sua storia è abbastanza travagliata, in quanto fu parzialmente scavato nel 1926 per poi essere completamente abbandonato; Pur non avendo collegamenti diretti col teatro, o se c'erano sono andati persi,[10] il criptoportico gli era indubbiamente collegato. Non è ancora chiaro quale fosse il suo utilizzo, ma si presuppone che venisse usato dagli attori per spostarsi da un luogo all'altro; tuttavia, sono state trovate sui muri numerose iscrizioni in greco e latino, tra cui anche alcuni versi virgiliani, che lasciano presupporre il suo utilizzo come scuola e Gymnasium. Inoltre, a causa della presenza della "Vigna del Vescovo" nel territorio adiacente, non tutte le parti del criptoportico sono state e saranno mai recuperate, lasciando così nel mistero la sua vera utilità.
La struttura era composta da tre bracci disposti ad U, ma oggi si può visitare solo il settentrionale, in quanto l'occidentale è stato inglobato da un casolare di campagna mentre l'orientale è crollato; la loro lunghezza era di 90 metri circa per il nord e di 70 per gli altri due. I corridoi sono divisi in due navate con volte a botte poggianti su pilastri di trachite vulcanica e illuminate da finestre strombate. Le pareti, in opus incertum, conservano il rivestimento in stucco bianco con membrature architettoniche a rilievo, attribuibile ai primi decenni del I secolo d.C., su cui erano stati disegnati quadri geometrici con motivi floreali; a ciò furono aggiunte le suddette iscrizioni scolastiche e anche dei veri e propri atti di vandalismo da parte di tifoserie gladiatorie.
Ci spostiamo a nord visitando l’area archeologica di Priverno, sempre dall’esterno, in quanto chiusa al pubblico e visibilmente allagata. Pare che nell’ultimo anno fossero stati avviati lavori di recupero e drenaggio e infatti all’esterno sono presenti strutture per un ampio parcheggio e alcune rampe per accedere all’area scavata. Sta di fatto che, anche leggendo articoli prcedenti le promesse non sono state mantenute e l’area versa in totale abbandono. Un altro eclatante caso di disinteresse per i beni pubblici che potrebbero portare solo benefici alle popolazioni e un indotto economico rilevante per il richiamo turistico che ne conseguirebbe. Ovviamente anche qui è del tutto inesistente una utile cartellonistica stradale per indicare il sito. Solo a poche centinaia di metri esiste un cartello che segnala la presenza degli scavi.
Ci rechiamo dunque all’ Abbazia di Fossanova . L'abitato sito tutt'intorno ha l'aspetto di vicus e prende il nome da una cloaca che nei primi tempi del piccolo borgo (ora frazione di Priverno) era chiamata Fossa Nova. L'abbazia, figlia dell'abbazia di Altacomba e la cui costruzione durò dal 1163 al 1208, è un perfetto esempio del primo stile gotico italiano, anzi più precisamente di una visibile forma di transizione dal romanico al gotico; l'interno è spoglio o quasi di affreschi (ne rimangono, almeno fino al 1998, alcuni brandelli sulle pareti) secondo l'austero memento mori dei monaci cistercensi.Nell'infermeria vi è la stanza ove visse, pregò e meditò san Tommaso d'Aquino negli ultimi giorni della sua vita e dove morì nel 1274; ancora oggi in chiesa se ne conserva la semplice tomba vuota (il corpo fu trasferito dai domenicani a Tolosa alla fine del XIV secolo) composta da una lastra di marmo o travertino rettangolare.Dichiarata “monumento nazionale” nel 1874, l'Abbazia di Fossanova costituisce il più antico esempio d'arte gotico-cistercense in Italia e, assieme all'Abbazia di Casamari, una delle sue più alte espressioni. Il complesso nacque alla fine del XII secolo dalla trasformazione di un preesistente monastero benedettino, forse risalente al VI secolo, di cui rimane una flebile traccia al disopra del rosone della chiesa. L'antico cenobio, sorto su i resti di una villa romana, vene infatti ceduto nel 1134 da Papa Innocenzo II ad alcuni monaci borgognoni, guidati da San Bernardo di Chiaravalle, i quali seguivano la rigida regola scaturita dalla riforma di Citeaux (1098) improntata sull'originaria ortodossia benedettina.Il complesso abbaziale noto come rifacimento di quello benedettino è costituito dal chiostro, fulcro dell'intero organismo, dalla chiesa di Santa Maria, dalla Sala Capitolare con sovrastanti dormitori dei monaci, dal refettorio, dalla cucina e dai dormitori dei conversi. Completano l'insieme la casa dei pellegrini, il cimitero e l'infermeria. Consacrata nel 1208, conserva la nuda architettura, il magnifico rosone e tiburio e i capitelli finemente scolpiti, a testimonianza del ruolo preminente esercitato nella zona. Gli edifici del complesso monumentale sono recintati così da apparire come un borgo, per altro arricchito dai resti di una villa romana del I secolo a.C., visibili proprio di fronte alla chiesa.In uno dei locali dell'abbazia si vendono i prodotti dei monaci, dagli alimentari ai vini ed ai liquori. Attualmente in abbazia, dal 1935, abita una comunità dei frati minori conventuali (francescani). La chiesa si presenta di una spettacolare e severa grandiosità; la facciata (che doveva essere preceduta da un portico) è semplice ma maestosa, con portale fortemente strombato. Il portale è poi costituito da un arco a sesto acuto nella cui lunetta è ripreso il motivo del rosone, mentre nella parte inferiore, un mosaico cosmatesco sostituisce un'iscrizione dedicata a Federico Barbarossa.
Al di sopra del portale riccamente decorato, la facciata è adornata da un grande rosone. Originariamente, esso era più piccolo: di questa precedente versione resta una traccia che sembra coronare l'attuale. Ventiquattro colonnine binate, sui cui capitelli si impostano archetti a sesto acuto, funzionano da armatura della vetrata intermessa. L'oculus ottagonale al centro del frontone è un rifacimento di uno originario che doveva essere simile a quello dell'abside. La possanza della facciata è accentuata dall'esposizione dei potenti contrafforti. La struttura della chiesa, costruita interamente in travertino, è basilicale. Ha pianta cruciforme; il braccio longitudinale, che si sviluppa secondo un asse mediano ed è diviso in tre navate, è attraversato perpendicolarmente dal transetto. La lunghezza della navata centrale è scandita nella prima parte da sette campate rettangolari, termina nel presbiterio e nell'abside che formano un unico corpo rettangolare. Il sistema dei sostegni è formato da massicci pilastri rettangolari. Le arcate che conducono dalla navata mediana a quelle laterali sono rette da semicolonne. Altre semicolonne pensili (cioè poste su una mensola a distanza dal suolo) salgono a portare gli archi trasversi della navata centrale.Dal centro del transetto si erge il tiburio a pianta ottagonale, elevato di due piani e sormontato dalla lanterna, che sostituiva il campanile. Le campane si suonavano nel sito del coro con funi che pendevano davanti l'altare maggiore. Nei due bracci, invece, sono ricavate quattro cappelline: dalle due alla sinistra dell'altare scende la scala con la quale i monaci dal dormitorio passavano direttamente in chiesa. Una cornice di semplice fattura, tipicamente borgognona, corre lungo i due lati della navata centrale a spezzare il verticalismo dell'ambiente. È all'inizio del XXI secolo che viene ultimato il restauro del pavimento della basilica. Nel chiostro ritroviamo la stessa semplicità di forme della chiesa, se si eccettua il lato meridionale che appartiene senza dubbio ad una costruzione assai più tarda. Le arcatelle a tutto sesto si snodano da colonnine doppie lisce e le gallerie sono coperte da volte a botte. Ai tre lati di stile romanico si contrappone quello costruito a sud in stile gotico: arcatelle di sezione acuta, colonnine abbinate di forme differenti e assai complesse che però non contrastano con le forme degli altri tre lati nonostante la semplicità di questi ultimi. Ben conservata è pure la fontana del chiostro (lavabo) costruita nel XIII secolo di fronte al refettorio. La sala capitolare a due navate divise in sei campate è coperta da volte a crociera costolonata e sostenuta da due pilastri cosiddetti fascicolari, perché formati da un fascio di colonnine. La sala, databile al XIII secolo, è anch'essa di chiaro stile gotico. Tutti i particolari decorativi sono di una grande eleganza di forme. Nel refettorio, molto vasto e posto perpendicolarmente al chiostro secondo la regula, è conservato ancora integro il pulpito di lettura con la relativa scala. Quest'ambiente, di pianta rettangolare, è coperto da un soffitto in legno i cui due spioventi poggiano su cinque grandi archi a sesto acuto, di profilo quadrato, mentre tredici finestre (di cui cinque murate) dovevano dare grande luminosità alla sala.Staccata dall'insieme di stabili che orbitano intorno al chiostro, si trova l'infermeria dei monaci coristi. Al secondo piano si trova la cella dove morì san Tommaso, ora trasformata in cappella: sull'altare, rifatto dall'abate commendatario cardinale Francesco Barberini, si trova un bassorilievo raffigurante la morte del santo così come ce la tramanda la sua biografia, mentre sta spiegando il Cantico dei cantici ai monaci. Il Museo, aperto nel 2001, è stato realizzato e pensato all’interno dell’antica Foresteria cistercense di Fossanova, un unico maestoso ambiente duecentesco. Il percorso museale inizia con il racconto della storia delle fasi di vita altomedievali della città di Privernum, di fondazione romana, che viene riplasmata negli spazi e negli edifici per trasformali in un nuovo abitato che finì per chiamarsi Piperno. Questa fase è testimoniata dai tanti materiali del vivere quotidiano, ceramiche, corredi funerari, monete e, soprattutto, dal ricco apparato di sculture e pitture, databili dal VI al IX secolo, che costituivano l’arredo della Chiesa di Privernum.
Il nostro viaggio si conclude qui, con la speranza che si possa intervenire sul patrimonio artistico in maniera decisiva. Si soffre a vedere che quasi tutti i monumenti sono chiusi e abbandonati e che per visitarli bisogna chiedere permessi e autorizzazioni.
La vergogna italiana continua…