RICORDO DI MICHELE GANDIN
- MAESTRO E ARTISTA DEL DOCUMENTARIO -
di Enrico Stella
Michele Gandin è scomparso venti anni fa, il 6 settembre 1994, mentre il prossimo 7 ottobre cadrà il centenario della sua nascita. Le due ricorrenze mi inducono a ricordarlo, leader tra i registi-documentaristi italiani del Novecento, maestro indimenticabile; fu anche rigoroso giornalista e critico cinematografico, caporedattore di “Cinema Nuovo”.
Preziosa fonte di notizie sull’opera di Gandin e sul suo impegno sociale è la monografia, curata dagli amici e allievi Luciano Blasco e Alessandro Marzocchini, che l’Associazione Italiana di Cinematografia Scientifica gli dedicò, tre mesi dopo la sua morte. Anch’io feci parte del gruppo di autori che, avendo conosciuto bene Michele, o collaborato con lui, vi portarono la propria testimonianza.
Gandin era nato a Bagnaia e aveva compiuto gli studi universitari a Siena dove si era laureato in Giurisprudenza, discutendo una tesi, che meritò la stampa, sul diritto d’autore nel cinema. Quel periodo segnò l’inizio di un’attività entusiasmante e frenetica: egli fu dinamico animatore del Cine-Guf della città toscana e all’età di 22 anni vide premiato uno dei suoi primi cortometraggi, “Cinci”, tratto da una novella di Pirandello e realizzato nella campagna senese con attori non professionisti: un anticipo del neorealismo. Era l’inizio di una serie di prestigiosi premi e riconoscimenti, ottenuti in Italia e all’estero. A Siena organizzò anche rassegne di film di autori stranieri d’avanguardia, come René Claire e Julien Duvivier, validamente affiancato dal fraterno amico Mario Verdone e da altri cinefili, ma quando fu proiettato “L’angelo azzurro” del regista ebreo Josef von Sternberg, la Federazione locale del P.N.F. pose fine a tali iniziative che già mal tollerava.
Trasferitosi a Roma, Gandin poté fare una nuova, importante esperienza come assistente di Vittorio De Sica nei due film: “Teresa Venerdì” (1941) e “Un garibaldino in convento” (1942). Poi la INCOM gli affidò la regia di documentari e attualità.
Le vicissitudini della guerra con la prigionia in un campo di concentramento polacco (era scampato all’eccidio compiuto dai tedeschi a Cefalonia) bloccarono temporaneamente il lavoro a lui tanto caro.La sua fervida attività riprese nel 1947 con il documentario “Gli animali soffrono per noi”, una denunzia dei maltrattamenti e delle ingiustizie inflitte dall’uomo agli animali, sacrificati anche come cavie. Gli argomenti trattati da Michele nel corso dei successivi 45 anni, fino al 1992 (circa 150 film), sono i più vari e sarebbe impossibile ricordarli tutti in un articolo. Come osserva Luigi M. Lombardi Satriani, “nell’opera complessiva di Gandin è costante l’attenzione alla condizione umana nelle sue diverse articolazioni, con un privilegiamento della realtà esistenziale e sociale degli appartenenti alle classi subalterne, dei dominati, degli umiliati e offesi.” La difesa dei più deboli (bambini, ammalati, emarginati, analfabeti privi della possibilità di istruirsi) era infatti una sua missione primaria. Ai malati di mente e contro i manicomi dedicò i due documentari “La porta aperta” e “Gli esclusi”. Il secondo fu girato interamente con una tecnica in cui lui era impareggiabile: la ripresa cinematografica e la suggestiva elaborazione personale di fotografie già realizzate da altri; le immagini drammatiche furono colte in un ospedale psichiatrico da Luciano D’Alessandro, vero artista della fotografia.
Storia, politica, etnografia, arte, ambiente, paesaggistica, itinerari turistici italiani, fotoreportage, scienza, ricerche socio-antropologiche… sono state alcune tra le tematiche care a Michele che ebbe anche il sostegno affettivo e la consulenza della moglie, la nota antropologa Annabella Rossi, studiosa di arti e tradizioni popolari.
I documentari dedicati all’infanzia costituiscono una parte notevole del suo lavoro. Di particolare rilievo è il suo primo programma televisivo “Il cerchio magico” (1962) in cinque puntate, ciascuna di 45 minuti. Si tratta di una paziente, meticolosa inchiesta su significato e importanza del gioco dei bambini, con interviste a psichiatri, pedagoghi, antropologi, genitori e agli stessi bambini.
E fu proprio un ciclo di trasmissioni per l’infanzia che indusse Gandin a propormi di collaborare con lui quando nel 1971 stava progettando “Alla scoperta degli animali”, seconda serie, destinata alla rubrica “Per i più piccini” del Programma Nazionale RAI. Accettai subito l’invito a fargli da consulente per quattro puntate sugli insetti e gli consigliai alcuni dei miei soggetti preferiti: il bruco, la farfalla, la mosca domestica, il baco da seta. Il contenuto delle schede da me redatte veniva da lui convertito in un dialogo (voci fuori campo) svolto con la massima naturalezza tra un padre (Riccardo Cucciolla) e il figlioletto (Paolo Margoni). Gandin, che aveva alle spalle una solida preparazione pedagogica, sapeva interpretare le curiosità dei bambini e mi tempestava di domande, come avrebbe fatto un ragazzino. Le riprese erano effettuate sia all’aperto, sul campo, sia nello studio di Carlo Ventimiglia, grande esperto di cinematografia scientifica e macrofotografia: le sue geniali invenzioni gli avevano meritato il premio ATIC 1970 per la Tecnica. Benché la RAI trasmettesse ancora in bianco e nero, Michele preferì la pellicola a colori: la varietà cromatica di bruchi e farfalle era così ricca e attraente che sarebbe stato un peccato ignorarla.
Il mio compito non era facile perché non si limitava ad una semplice consulenza: io andavo a cercare gli insetti nel loro ambiente, li allevavo e li portavo in studio al momento giusto per cogliere le varie fasi della metamorfosi; l’esperienza mi permetteva di ritardare o accelerare un evento e di far nascere una farfalla all’ora prefissata. Tale precisione aveva sbalordito Gandin che mi propose di ripetere il lavoro per il cinema: concorremmo al premio ministeriale di qualità e tutti i nostri cortometraggi (“La farfalla”, “I bruchi da vicino” e “Il bruco che ci veste”) lo vinsero, con l’obbligo di proiezione nelle sale cinematografiche. I tre film, come tanti altri documentari di Gandin, con le belle musiche di Egisto Macchi, sono conservati nella Cineteca Nazionale del CSC, uno dei maggiori archivi europei.
L’anno seguente cominciammo a girare in giugno per un nuovo ciclo della stessa serie televisiva che aveva ottenuto un altissimo indice di gradimento; questa volta i soggetti prescelti furono zanzare, cavallette e alcuni coleotteri, tra i più facili da osservare nei campi, nei boschi e nell’orto. Fu in quell’occasione che Michele cominciò ad accarezzare l’idea di una serie di trasmissioni sugli ambienti naturali. Alla fine dell’estate 1976 realizzammo insieme questo progetto, accettato dalla RAI per “Tv2 Ragazzi”; nacque così “Alla scoperta della natura”: il giardino era il punto di partenza per un itinerario da proporre ai piccoli spettatori, che proseguiva con la scoperta del prato, dello stagno, del ruscello, fino alla spiaggia e alla macchia mediterranea. Ogni documentario, oltre alla descrizione dell’ambiente, poneva in evidenza i rapporti tra animali e piante, e tra varie specie zoologiche presenti nello stesso territorio.
A distanza di quattro decenni questi film dall’originale impostazione didattica sono sempre attuali; mi auguro che la RAI non li dimentichi nelle sue teche: Gandin ci ha lasciato un prezioso patrimonio di immagini e notizie da offrire a nuove generazioni; si può sacrificare qualche cartone animato e riproporli in uno dei canali digitali dedicati ai più giovani.
Mi piace concludere questo ricordo con una nota dell’antropologo documentarista Luciano Blasco, devoto ed eccellente discepolo di Gandin e di Annabella Rossi: “Un giorno Michele mi spiegò, con estrema fedeltà alle idee condivise per tanti anni con l’amico Zavattini, che se un fatto semplice, conosciuto con profondità, narrato con un linguaggio adeguato con chiarezza, poteva suscitare interesse, curiosità, emozione, passione, riflessioni…allora, forse, il documentario potrebbe essere considerato: Lo spettacolo della realtà”.