I VENTI ANNI DI SVEVA SAGRAMOLA
- I RICORDI DI UN GRANDE AMICO DELLA CONDUTTRICE -
di Enrico Stella
Anche quest’anno, all’inizio autunnale della nuova stagione televisiva, ho pubblicato su Facebook un messaggio augurale per Sveva Sagramola: “Un saluto con affetto e un grande in bocca al lupo (viva il lupo!) a Sveva che oggi inaugura la nuova edizione di GEO. La sua semplicità, il tono confidenziale e spontaneo, mai sopra le righe, la sua vasta cultura, hanno conquistato milioni di spettatori. Non saprei immaginare il pomeriggio di Raitre senza questa Signora della televisione italiana, amatissima da un pubblico di ogni età, attento e fedele. Con un brillante curriculum già acquisito da giovanissima, Sveva Sagramola dal 1998 è coautrice e conduttrice di Geo (ora affiancata dal naturalista Emanuele Biggi). Essa ci garantisce sempre una piacevole, tranquilla informazione, contrapposta alla televisione dei nuovi mostri, urlata e diseducativa.”
E la stessa Sveva: “Oggi do il via alla mia ventesima stagione di Geo! Sono emozionata e orgogliosa di aver contribuito, con una grande squadra, a far crescere uno dei programmi più belli del servizio pubblico, vi aspetto tutti questo pomeriggio”.
Con lei ho avuto il privilegio di collaborare dal 2001, per nove stagioni consecutive, come esperto entomologo, ospite in studio. Sveva era arrivata tre anni prima, quando “Geo & geo” si rinnovava con una nuova squadra di autori eccellenti di cui lei stessa faceva parte assieme a Flavia Scollica, Rosario Cutolo, Marco Castellazzi, Vittorio Papi.
Ma il suo esordio alla Rai risaliva all’inizio degli anni novanta, quando realizzava servizi e inchieste per Mixer, il programma di Giovanni Minoli, dedicato a costume, attualità, politica, e per la prima volta appariva in video: un prezioso tirocinio che preludeva a uno splendido futuro professionale. Nel 1994 firmava e conduceva Caro diario: un incontro in studio con un gruppo di adolescenti per discutere su temi delicati della loro età. Alcuni scottanti problemi dei nostri giorni, come tossicodipendenze, alcolismo, delinquenza, erano oggetto del suo Mixer Giovani (1995-97) pluripremiato, anche con un Oscar TV. Un altro programma dedicato ai ragazzi, visti dagli adulti, era Gli anni in tasca (un titolo che ricorda un famoso film di François Truffaut).
Fra i programmi che hanno preceduto l’ingresso della Sagramola nella squadra di Geo, non posso non ricordare Professione Natura (1997), una bella serie di documentari da lei presentati dall’Africa e dall’Argentina, alla scoperta dei luoghi e delle persone che vivono intorno ai grandi paradisi naturali. Sveva ha anche condotto Timbuctu (2005-2006) e Sei miliardi di altri (2011), e si è distinta come documentarista e regista.
Oggi GEO è sul podio di Qualitel (sistema che accerta il gradimento delle famiglie per le singole trasmissioni e per le reti) con un 8 pieno. Soltanto Alberto Angela raggiunge l’8,5.
Non sempre i conduttori televisivi sono realmente interessati ai temi che devono trattare, ma quando cominciai a dialogare di insetti con Sveva, davanti alla vasta platea dei telespettatori, mi accorsi subito della sua autentica partecipazione all’argomento. Io fui il primo a presentarne in studio esemplari vivi, e il suo interesse per queste piccole creature divenne presto una vera passione e segnò l’inizio di una solida amicizia. Questo giovò molto al successo dei miei interventi perché l’entusiasmo della conduttrice era contagioso e stimolava quello del pubblico. Perfino gli insetti dall’aspetto un po’ orrido, come le gigantesche Blatte fischianti del Madagascar, venivano accolti con simpatia da tutti.
Una delle esibizioni più affascinanti, molto gradita agli spettatori, fu “L’amore in diretta” (2003): il movimentato corteggiamento, seguito dall’accoppiamento di alcune farfalle del baco da seta, che meritò ripetuti applausi a scena aperta. Avrei voluto programmare anche la schiusa di una farfalla davanti ai ragazzi invitati in studio, come avevo già fatto nel corso di un altro programma, a Torino, ma i tempi piuttosto brevi di cui disponevo non lo consentivano. Sveva, però, non era disposta a rinunziare ad uno degli spettacoli più belli e poetici della natura ed io glielo organizzai in privato, sul suo terrazzo. In un tiepido pomeriggio di inizio estate, arrivai a casa sua con una crisalide matura della falena Sfinge dell’euforbia; questa, dopo appena mezz’ora, cominciò a muoversi gonfiando il torace e provocando la rottura della friabile cuticola, lungo alcune linee di minor resistenza: il magico scrigno si era aperto! Così vedemmo emergere il capo della falena, con le antenne candide e la lunga proboscide destinata a penetrare nei fiori tubolari; anche le eleganti zampette erano bianche, ma il colore che colpiva di più era il rosa vivace della superficie ventrale del corpo e delle ali. La “neonata” si aggrappò a un dito di Sveva e le sue membrane alari elastiche si distesero, a poco a poco, grazie all’afflusso di sangue (emolinfa) pompato nelle venature. Due ore più tardi, dopo avere scaldato i muscoli del torace con una prolungata vibrazione, prese il volo e scomparve tra il verde che circonda il grande terrazzo.
Sveva ama il giardinaggio e coltiva con amore un gran numero di fiori: dall’ibisco alle clematis, dalla malva gigante a minuscoli gerani selvatici; naturalmente, con tanto ben di dio, gli afidi non hanno che l’imbarazzo della scelta, ma alla padrona di casa dispiace impiegare gli insetticidi; così, una volta in cui l’invasione si era fatta minacciosa, io le portai un esercito di voraci coccinelle che sterminarono i pidocchi delle piante: avevamo messo in pratica la “lotta biologica”, argomento di una nostra conversazione in studio.
Un’altra volta fui chiamato d’urgenza perché il suo nasturzio era invaso da un folto gruppo di piccole larve: erano i bruchi della Cavolaia maggiore che, oltre alle crucifere, attaccano questa specie botanica. Prima che la pianta fosse distrutta, raccolsi tutti i bruchi per allevarli; un mese dopo assistemmo insieme alla schiusa, quasi simultanea, di decine di candide farfalle alle quali restituimmo la libertà nel giardino di una scuola elementare, coinvolgendo le bambine che ascoltarono, affascinate, la storia della loro metamorfosi.
Con Sveva mi recavo spesso al Bioparco dove entrambi avevamo una particolare predilezione per le scimmie antropomorfe: tra queste c’erano due deliziose oranghine: Zoe e Martina, nate allo Zoo, come la loro mamma Petronilla.
Tra i tanti bei ricordi che condivido con Sveva non posso tralasciare uno speciale evento del gennaio 2003. Il compianto regista Fernando Armati, grande pioniere della cinematografia scientifica, aveva ideato un programma dal titolo Raccontare la Natura: cinque incontri-interviste al Museo Civico di Zoologia. L’idea, molto stimolante, era di mettere insieme, a coppie, conduttori di programmi televisivi, divulgatori, giornalisti, documentaristi, tutti legati al mondo della cultura scientifica. Protagonisti delle cinque serate furono Mario Tozzi, geologo, Paola De Benedetti, vicedirettore di Rai Uno, Danilo Mainardi, etologo, Piero Angela, giornalista e “superdivulgatore”, e il sottoscritto. Lo stesso Armati, privilegiandomi, mi affidò alla intervistatrice che lui definiva “la Numero Uno”: Sveva Sagramola. Il titolo del mio intervento era “Caro Papilio – La passione di un naturalista”. Fu una serata indimenticabile: nella Sala Conferenze del Museo i posti erano tutti esauriti e, stimolato abilmente da Sveva, potei passare in rassegna, in quasi due ore di piacevole conversazione, le più importanti fasi della mia formazione naturalistica, iniziata all’età di cinque anni, e della successiva attività di ricercatore e divulgatore.
C’è un episodio, anche a me molto caro, che Sveva ha voluto ricordare nel suo primo libro Secondo natura (Rai Eri – Mondadori) e ne riporto fedelmente il testo: “Enrico ha allevato farfalle fin da bambino e ha una passione straordinaria per queste creature. Le conosce perfettamente ed è così esperto del loro ciclo biologico da essere in grado di prevedere esattamente il momento in cui una crisalide si schiuderà. Questo gli ha permesso di farmi il più bel regalo di compleanno che abbia mai ricevuto: un ramo, con attaccate due crisalidi di farfalla. - Mettilo sul davanzale della tua finestra e domani mattina, quando ti svegli, dagli un’occhiata ogni tanto - si raccomandò. Così la mattina del mio compleanno mi sono svegliata e ho alzato la persiana. Il sole ha inondato la stanza, ho spalancato i vetri e guardato il ramo che avevo messo nella terra di un piccolo vaso per tenerlo dritto. Appese con un cinturino di seta sottile, ma capace di resistere a qualunque scossone, le due crisalidi illuminate dalla luce parevano vuote e senza peso. Poi una ha iniziato a muoversi, prima una vibrazione, quindi dei colpi secchi, in avanti e in indietro, finché dopo qualche istante si è aperta ed è apparsa la farfalla che, una volta uscita, si è fermata su ciò che restava del suo bozzolo perché l’aria le asciugasse le ali. Sono rimasta a guardarla senza fiato, con gli occhi pieni di lacrime per la commovente bellezza di quel momento. A ogni compleanno ciascuno di noi muore un po’ e rinasce nello stesso tempo, proprio come il bruco che era appena diventato una farfalla e che spiegava le sue meravigliose ali gialle e viola, di papilio macaone, per volare via. Non mi ero ancora ripresa dall’emozione, quando è uscita anche la seconda farfalla, e il mio sguardo ha potuto accompagnare anche lei in quei primi istanti della sua nuova vita, augurio di nuove gioie per me da parte del mio amico entomologo. Che con questo gesto pieno di poesia e delicatezza si è conquistato per sempre un posto tra i miei ricordi più belli.”