Euroscettici? No, Europeisti convinti!
di Cosimo Durante
(Ricdviamo e pubblichiamo questo articolo pubblicato recentemente come Editoriale su Leccenews24)
Abbiamo letto con attenzione i sondaggi pubblicati qualche giorno fa e i dati e da Eurobarometro da dove emerge che, nel caso di un eventuale referendum, solo il 44% degli italiani voterebbe per restare in Europa.
Un dato in forte contraddizione con gli altri diffusi, e riferiti al gradimento rispetto all’euro con una maggioranza del 65% e con una crescita di circa 4 punti percentuali rispetto alle precedenti rilevazioni del marzo 2018.
Se potessimo fidarci dei dati, e spesso non ci fidiamo, perché a noi piace essere degli ottimisti, dovremmo da subito analizzarli nella composizione e scomposizione analitica e cercare di comprendere meglio quanto sta accadendo rispetto alla fiducia o meno che gli Italiani ripongono nell’Europa.
La sensazione è che in questi anni, purtroppo, sempre più si è fatta largo l’idea di una Europa che per alcuni rappresenta una somma di ostacoli e vincoli, una struttura tecnocratica che produce solo ed esclusivamente rigide norme sino a pensare che la stessa intacchi la sovranità dello Stato membro aderente all'Unione generando sentimenti negativi in tanti che non si riconoscono quali Cittadini Europei.
Quanto è emerso dai dati indica una certa sfiducia verso l’Europa che molto probabilmente è figlia di qualcosa che non viene percepito più per mancanza di una visione politica e di quel progetto che all'origine si poggiava su elementi unitari e che guardavano alla condivisione di un grande spazio orientato al benessere, alla pace ed alla crescita culturale e sociale dei Popoli.
Chi ha seguito negli anni con attenzione le politiche portate avanti dall’Unione Europea ha potuto verificare che la stessa ha operato efficacemente nel campo dell’agricoltura, dell’ambiente, dei trasporti, ecc...cercando di allargare le proprie competenze sino ad orientare unitariamente la politica estera, ad elaborare nuovi ed innovativi processi per difesa, il lavoro, il welfare, la ricerca.
Bisogna essere convinti e prendere atto che sarà sempre più in sede europea che si decideranno gli scenari futuri nelle politiche di sviluppo. Sono finiti i tempi del “piccolo è bello” e anche quelli del “nostro è bello”. Pur mantenendo specificità e caratteristiche proprie, l’Italia dovrà diventare grande, portando a compimento quel percorso di maturazione civica che la vede ancora in coda alla classifica delle nazioni europee per mancanza di fiducia verso l’Europa.
L’orgoglio nazionale va mitigato da una nuova coscienza culturale di respiro continentale, più accorta alle dinamiche internazionali, meno arroccata su posizioni di retroguardia, a partire dalla leggerezza dei partiti, che nella loro fragilità infinitesimale sono quasi sempre incapaci di soddisfare in modo significativo i bisogni della nostra società.
Una società affetta dai problemi di ieri, ma con le responsabilità di oggi. Quelle su cui alcune forze politiche giocano i destini minimi della loro sopravvivenza parlamentare puntando su politiche populiste e sovraniste che non ci portano da nessuna parte.
Alle spinte separatiste e antieuro si devono anteporre oggi gli interessi effettivi delle Comunità che hanno bisogno di cogliere nuove opportunità in ambito europeo.
Oggi poter studiare in qualsiasi Nazione Europea, per i nostri giovani significa cogliere occasioni di vita irrinunciabili, significa adeguare i propri modelli a quelli di altri giovani che nella scienza e nella tecnologia sono più all’avanguardia.
Approfittare delle opportunità di un’Europa, madre delle Culture, è una condivisione necessaria, non un’ammissione di debolezza, come molti vorrebbero far credere. Guardare ad altri modelli economici non è un deprezzare la nostra storia classica, ma una maniera per rinnovarla e renderla più efficace per le sfide di domani.
L’Università, la medicina, l’elettronica la Ricerca sono settori vitali nei quali l’Italia in alcuni casi annaspa, c’è ma non si vede, si vede ma poco. Per questo occorre abituarsi a un lavoro di squadra come mai in passato, facendo massa critica rispetto alle principali questioni sociali ed economiche, per contare di più e meglio nello scacchiere Occidentale e mondiale.
L’Italia resta il Paese della Cultura, padre dell’Arte e madre della moda. Guida nella buona alimentazione grazie alla dieta Mediterranea, cosa che sta facendo abbassare sempre più l’asse della centralità europea e che dimostra come il nostro Paese non sia in Europa solo per chiedere ma anche per dare.
Un Paese e anche un territorio come la Puglia o il Salento che possono leggere nella sfera di cristallo europea i destini del loro futuro, con le possibilità offerte dai finanziamenti europei, per gli enti locali, per le Imprese, per gli studenti.
In funzione di un’Italia nuova, cresce la nostra aspirazione di un’Europa forte politicamente, e magari umanamente riconoscente.