Cori e le sue vestigia romane
In escursione nella cittadina della provincia di Latina
Testo e foto di Claudio Manari
Con questo articolo, desidero portare all’attenzione dei lettori una località a una cinquantina di km da Roma situata in provincia di Latina sui Monti Lepini che da millenni sfida il tempo in una posizione scenografica e strategica. Si tratta della bellissima Cori.
In compagnia dell’artista internazionale Ciro Cellurale (che vediamo nella foto), testimonial di bellezza e cultura ed egli stesso, come noto, autore di opere di eccezionale valore artistico, ho voluto recarmi ancora una volta presso questa città così particolare e poco conosciuta che nasconde vestigia incredibili e uno dei templi più antichi e meglio conservati dell’architettura romana.
Cori ha radici remotissime. La leggenda associa la fondazione alternativamente alle figure di Dardano, Enea e Corace (dal quale avrebbe preso il nome). Le leggende infatti narrano le origini divine di Cori, il cui antico nome era Còra (Còre in dialetto corese arcaico): secondo una di queste narrazioni Cora sarebbe stata fondata dal troiano Dardano, un'altra mitologia racconta che il paese sarebbe stato costruito da un re di Alba Longa, un'altra ancora ci dice che il fondatore fu Enea. Dopo che il paese fu distrutto, Corace, un reduce della guerra di Troia, sarebbe approdato sui resti dello stesso, lo avrebbe ricostruito, dandogli il suo nome . Il nome potrebbe derivare in realtà dal latino arcaico Corax (Corvo), inteso come animale totemico.
Cori, già a partire dalla fine del VI secolo a.c., rivela un’urbanistica ancora visibile con mura e terrazzamenti in opera poligonale e importanti aree santuariali. Dal tempo della Guerra Latina (496 a.c.) alla definitiva incorporazione nello Stato Romano (dopo la guerra sociale 90-88 a.c.), Cori mantenne una larga autonomia politica e amministrativa come città alleata di Roma, tanto che si fregia tuttora dell'acronimo SPQC - Senatus PopulusQue Coranum. In questo lungo arco di tempo, la città si arricchì di quegli edifici e monumenti (le mura, i templi e il ponte della Catena) che attrassero, fin dal Rinascimento, l'attenzione di artisti, letterati ed eruditi.
Negli anni 340-338 a.C. partecipò alla guerra Latina al fianco di Roma contro Privernum e Fundi subendo devastazioni dalle forze guidate dal fondano Vitruvio Vacco . Nel 218-201 a.C. partecipò, sempre al fianco di Roma, alle guerre puniche[9]. All'inizio del I secolo a.C. con l'acquisizione della cittadinanza romana e l'erezione a municipium Cora venne attribuita alla tribù Papiria. Successivamente fu coinvolta nella guerra tra Mario e Silla (90-88 a.C.). Cori mantenne una larga autonomia politica ed amministrativa come città alleata di Roma, tanto che si fregiava dell'acronimo SPQC. Nell'Eneide di Virgilio c'è una citazione di Cora.
Pochi i riferimenti storici della città durante il periodo imperiale.
Percorrendo le vie del Borgo, affrontando salite e discese ripide dovute alla conformazione della topografia si possono ammirare la Cinta muraria che con le sue mura ciclopiche avvolge totalmente il borgo inglobandolo nella sua parte più antica.
La cinta abbastanza ben conservata con percorso turistico dedicato, è lunga circa 2 km. È realizzata in opera poligonale di prima maniera (VI-V secolo a.C.) e restaurata in epoche diverse, una prima volta in opera poligonale di III maniera (IV-III secolo a.C.) ed una successiva volta con un'opera di ricortinatura in opera incerta e l'aggiunta di torri (fine del II secolo a.C.). Lungo il percorso delle mura tre Porte (Romana, Ninfina, Signina) permettevano l'ingresso alla città; erano di tipo sceo. Tale termine deriva dalle mura Troiane che hanno dato il nome a un elemento architettonico; propriamente una porta scea è un'apertura sghemba che presenta il suo lato destro più avanzato e a quota superiore rispetto a quello sinistro; in tal modo, in primo luogo, non si poteva arrivare al suo fornice secondo una direzione perpendicolare, quindi con la massima forza d'urto, ma obliqua e, in più, si sarebbe mostrato il lato del corpo non protetto dallo scudo (che, se si brandisce la spada con la mano destra, si porta con il braccio sinistro proteso in avanti), proprio verso l'avancorpo difensivo; questo permetteva un migliore controllo degli attacchi esterni e, in definitiva, una tattica difensiva più efficace.
Altri esempi di porta scee in Italia sono l'arco di ingresso all'Acropoli di Arpino, visitata anche da Heinrich Schliemann nel settembre del 1875 e la porta scea di Siracusa, nonché quella di Monte Vairano, in Molise, area archeologica che ha messo in evidenza un centro abitato osco-sannita, frequentato già a partire dal VI e V sec. a.C., di cui è stato possibile individuare le mura, risalenti al IV sec. a.C., e che visse il maggior periodo di sviluppo tra il IV e il II sec. a.C., prima del suo totale abbandono.
Delle tre porte sopra citate, soltanto Porta Ninfina si era conservata fino ad epoca moderna, ma è stata distrutta durante la seconda guerra mondiale. Una copia è stata ricostruita nel 1984 in occasione del Palio dei Rioni di Cori. Sempre in opera poligonale all'interno della cinta muraria sono le tante opere di sostruzione che creano una serie di terrazze che hanno determinato lo sviluppo urbanistico dell'antica Cora; tra le tante, sono notevoli: la sostruzione che sostiene il Foro, attuale zona di via delle Colonne; la sostruzione posta a fronte dell'edificio del Comune in piazza papa Leone XIII e la sostruzione, davanti all'edificio scolastico "Massari" a sostegno dell'Acropoli. Famose le incisioni della cinta e delle rovine di Cora fatte da Giovanni Battista Piranesi nel 1764 (volume "Antichità di Cora").
Le torri romane difensive lungo la cinta muraria giunte sino a noi sono quattro: tre si trovano a Cori Monte, di cui due nell'attuale Piazza Signina (compresa la più importante: la Torre di Silla), mentre un'altra si trova nel fosso di Piazza della Croce a Cori Valle.
Il percorso esplorativo come prima tappa non può che condurci al monumento più conservato e conosciuto della città: il Tempio di Ercole Sulxanus.
Proprio sulla piazzetta del tempio, affacciata sul giardino che circonda il tempio facciamo la conoscenza di una gentilissima signora della quale non citiamo il nome per privacy, che non solo ci illustra il Tempio, ma ci porta da casa alcune pubblicazioni sulla città ormai introvabili con planimetrie e indicazioni utili. La signora, che abita da sempre a Cori, ha proprio la sua abitazione alle spalle del tempio e ci racconta che purtroppo deve scontrarsi da anni con la sorda amministrazione della cittadina circa i lavori di riqualificazione e lancio turistico del sito. Da giornalisti abbiamo il dovere di dare voce in modo imparziale a qualsiasi opinione anche se in questo caso esprimiamo solidarietà alla signora che ci sembra avere centrato alcune problematiche che ormai sono comuni un po’ ovunque. In tempi nei quali ormai il dissenso sembra essere vietato rivendichiamo la libertà di pensiero e di opinione almeno in campo artistico e paesaggistico quando visitiamo luoghi di magica atmosfera non considerati per inseguire interessi economici anziché culturali.
Il tempio eretto durante la dittatura di Silla, tra l'89 a.C. e l'80 a.C. si trova sull'Acropoli dell'antica Cora, in quella parte della città che oggi è Cori alto, a 398 metri di altitudine, per volere di due magistrati locali, il cui nome è inciso sull'architrave della porta. Il tempio deve il suo stato di conservazione alla trasformazione in chiesa: all'interno della cella si insediò infatti la chiesa di San Pietro, distrutta dai bombardamenti alleati nel 1944.
Il monumento è di ordine dorico, prostilo, tetrastilo ossia con quattro colonne sul fronte principale ed è stato dichiarato monumento nazionale. Altre quattro colonne per lato delimitavano il pronao, oltre il quale si apriva la cella. Le otto colonne del tempio, di ordine dorico si sono conservate, così come la trabeazione ed il frontone. Il tempio richiama fortemente la tradizione templare italica, derivante dagli esempi etruschi e repubblicani. Il re d'Italia Vittorio Emanuele III visitò il Tempio d'Ercole il 18 marzo 1910 e sul luogo fu posta una lapide per ricordare l'evento.
Continuando la visita ci siamo recati nella parte bassa della città dove sorgono altri monumenti tra i quali il tempio dei Dioscuri.
Il tempio dei Dioscuri era situato nei pressi del foro. Costruito tra il IV secolo a.C. e il II secolo a.C. l'edificio venne restaurato, come testimoniato da un'iscrizione sull'architrave, verso il I secolo a.C. da due magistrati, che utilizzarono parte del tesoro del tempio ricostruendo l'edificio in stile corinzio. Il tempio, oltre a luogo di culto, aveva dunque anche la funzione di tesoriera della città, così come il Partenone e il Capitolium di Ostia.
L'edificio venne inglobato da altre costruzioni e sulle sue rovine sorsero diversi edifici privati e una chiesa, che venne dedicata a San Salvatore. Alcuni resti sono conservati nel chiostro della vicina chiesa di Sant'Oliva. Ciò che resta della struttura sono due colonne in stile corinzio che sorreggono un tratto di architrave attraverso cui è stato possibile risalire ai committenti dell'opera e alle divinità a cui il tempio era dedicato e parte del podio. Altri resti sono inglobati in un edificio moderno adiacente ai resti visibili. Le colonne sono alte 10 metri e rivestite di stucco in modo da sembrare di marmo, hanno un diametro di 90 centimetri e distano tre metri l'una dall'altra. Originariamente il tempio era esastilo, ossia con sei colonne sul fronte principale.
Dalle indagini archeologiche è risultato che la cella del tempio era tripartita, ossia divisa in tre ambienti distinti.
I resti degli altri templi cittadini sono esigui ma se ne possono percepire le vestigia osservando con attenzione le costruzioni adiacenti il Foro. Il Tempio di Castore e Polluce ad esempio, i cui resti si ammirano grazie al restauro avvenuto nel I secolo a.C. dell'antico santuario (V secolo a.C.). Tale restauro ha prodotto un tempio corinzio, tetrastilo con cella centrale ed ali laterali.
Scendendo di pochi metri si giunge al Pozzo dorico che altro non è che una grande piazza sottostante l'area del Foro e che poggia su un grande edificio di epoca romana (II secolo a.C.) composto da quattro ambienti ed una cisterna.
La Via delle Colonne corrisponde a quello che fu il foro dell'antica Cora, piena di reperti archeologici: pezzi di colonne, mosaici, cippi e tratti di mura poligonali
A pochi passi il Ponte romano della Catena: l'antico manufatto (I secolo a.C.), che consentiva e consente tuttora di attraversare l'omonimo fosso della Catena nei pressi di porta Ninfina; il ponte è ad un solo arco alto circa 20 metri ed è realizzato in opus quadratum, i fianchi sono in pietra mentre la curvatura è di materiale tufaceo. Da segnalare che in Piazza della Croce era presente un altro ponte della stessa epoca del Ponte della Catena, che è stato interrato insieme al fosso negli anni 1970.
La visita si conclude al ponte, dal quale la strada prosegue verso la pianura pontina. Abbandoniamo Cori dopo però avere sostato per un pranzo degno di nota presso il ristorante situato nella piazza principale del paese al qual vogliamo fare i complimenti per l’ottima cucina e l’eccellente servizio, si tratta della Taverna dei Golosi che ci ha attratto in quanto nessun sostantivo è più adatto al sottoscritto e al suo esimio compagno di viaggio. Ricordando il girone dantesco abbiamo affrontato con gioia i piatti e le prelibatezze proposte mentre un epocale nubifragio sferzava la cittadina proprio all’ora giusta. Naturalmente una volta sazi il sole ha nuovamente rallegrato la giornata.
Invito tutti i lettori a seguirci in altre gite e alla scoperte delle bellezze del nostro paese.